Non c’è nessuno che smetta di fumare.
Si sospende, al massimo. Per giorni. O per mesi; o per anni. Ma nessuno smette. La sigaretta è sempre lì, in agguato. Qualche volta salta fuori nel bel mezzo di un sogno, magari cinque, o dieci anni dopo aver “smesso”.
Allora senti il contatto delle dita sulla carta; senti il leggero, sordo, rassicurante rumore che fa quando la batti sul piano della scrivani; senti il contatto delle labbra sul filtro ocra; senti lo scratch del fiammifero e vedi la fiamma gialla, con la base azzurra.
Senti addirittura la botta nei polmoni, e vedi il fumo che si diffonde fra le carte, i libri, le tazzine di caffè.
E allora che ti svegli. E pensi che una sigaretta, una sola non può fare nessuna differenza. Che te la potresti accendere, perché hai sempre quel pacchetto di emergenza chiuso nel cassetto della scrivania, o da qualche altra parte.
E poi, naturalmente, ti dici che non funziona così; che se accendi una ne accenderai un’altra, e poi un’altra eccetera, eccetera. A volte funziona; altre volte no. Comunque vada, in quei momenti capisci che l’espressione smettere di fumare è un concetto astratto. La realtà è diversa.
Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.
Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'avvio.
Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.
Lui ha messo
Il caffè nella tazza
Lui ha messo
Il latte nel caffè
Lui ha messo
Lo zucchero nel caffellatte
Ha girato
Il cucchiaino
Ha bevuto il caffellatte
Ha posato la tazza
Senza parlarmi
S'è acceso
Una sigaretta
Ha fatto
Dei cerchi di fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
S'è alzato
S'è messo
Sulla testa il cappello
S'è messo
L'impermeabile
Perché pioveva
E se n'è andato
Sotto la pioggia
Senza parlare
Senza guardarmi,
E io mi son presa
La testa fra le mani
E ho pianto.
Apro la sigaretta
come fosse una foglia di tabacco
e aspiro avidamente
l'assenza della tua vita.
E' così bello sentirti fuori,
desideroso di vedermi
e non mai ascoltato.
Sono crudele, lo so,
ma il gergo dei poeti è questo:
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio.
intervista a Luciana Langella
La Voce del Tabaccaio - Novembre 2007
Blues
Ascoltare musica seduto
in una stanza illuminata male
i muri che si accendono alle note
roche di un blues,
la cenere nel piatto
e l’assenza del tuo corpo
ora forte
tra le mie mani…
Ho solo tabacco e anima
da bruciare:
nemmeno le risa, nemmeno le voci
sguaiate di strada
colpiscono i vetri
di questa stanza.
Nell’attimo più teso
più lunare
seguo le note nel vuoto